Colore & Wayfinding: l’unione fa la forza
Cos’è il Wayfinding?
Il nostro orientamento nello spazio non dipende solo dalla capacità di rispondere alle istruzioni di una serie di segnali convenzionali, ma anche (e a volte soprattutto) dalla capacità di reagire agli stimoli sensoriali, alle sollecitazioni di materie e colori, ai naturali “suggerimenti” e facilitazioni offerte dall’ambiente.
Ciò significa che al design spetta un compito di grande impegno scientifico: individuare i segni e le strategie che regolano, anche al di sotto della soglia della nostra consapevolezza, la tendenza ad assumere comportamenti spaziali dettati da deduzioni derivanti dalla nostra osservazione dell’ambiente e basati sulla nostra “natura animale”.
Del resto, «il nostro comportamento spaziale è “adattivo”, nel senso che nella nostra evoluzione abbiamo sviluppato la capacità di orientarci in modo relativamente indipendente dalla conoscenza dettagliata e corretta di un ambiente» (M.R. Baroni).
Wayfinding e colori
Nel progettare sistemi di wayfinding, il colore si presta così a essere impiegato sia come segno di localizzazione (cioè come identificazione di un luogo specifico all’interno di un ambiente), sia come segno direzionale (che suggerisce un percorso possibile), sia come segno ordinatore (cioè come marcatore in grado di definire gerarchie, stabilire misure e distanze, scandire sequenze).
Inoltre, il colore contribuisce alla formazione di rappresentazioni mentali dello spazio e in particolare a definire i tre principali processi del wayfinding:
- l’orientamento, cioè la capacità di avere cognizione della propria posizione all’interno di coordinate geografiche o ambientali;
- l’esplorazione, cioè il movimento che indaga e cerca di conoscere lo spazio traducendolo in una mappa mentale;
- la navigazione, ovvero la competenza nel muoversi attraverso le mappe, sfruttando la conoscenza di segni e convenzioni creati appositamente e condivisi.
Un caso di sperimentazione reale: il poliambulatorio dell’Ospedale San Paolo di Milano
Il blocco dei poliambulatori dell’ospedale milanese è costituito da una costruzione successiva ai tre blocchi principali della struttura. Essendosi dovuta adattare a parti già esistenti, non è dotata della stessa logica spaziale.
Questo blocco, che si sviluppa su due piani, uno dei quali sotterraneo, non ha differenziazione tra i settori: alcuni spazi si assomigliano in termini di finiture e colori e la luminosità è bassa, facendo apparire i corridoi troppo lunghi e indifferenziati.
Sono state condotte osservazioni tese a comprendere la percezione dello spazio che ha l’utente quando si muove al suo interno: i suoi comportamenti, i movimenti, i percorsi.
Dall’analisi è emerso come molti utenti, incerti sulla giusta via da prendere, preferiscano verificare che tutte le altre destinazioni siano errate prima di percorrere i grandi corridoi principali.
Il colore come criterio principale di wayfinding
Il progetto ha considerato il colore come una guida silenziosa, implicita, in grado di portare l’utente nella giusta direzione.
I colori utilizzati, quindi, indicavano le principali arterie, i punti di riferimento, i meccanismi di attenzione e le destinazioni, in accordo con i quattro elementi principali che contribuiscono all’orientamento secondo la studiosa Jain Malkin:
- presenza di punti di riferimento, visivamente accessibili;
- conformazione spaziale differenziata e riconoscibile;
- distribuzione spaziale semplice e lineare;
- efficiente sistema segnaletico.
Le proposte cromatiche elaborate sono state caratterizzate dall’uso di un colore identificativo dell’intera area poliambulatoriale.
A questo è stato accostato un secondo colore diversificato in funzione delle diverse destinazioni.
Infine, quando necessario, è stato impiegato un colore di richiamo dell’attenzione, ad esempio per segnalare una svolta o la presenza della segnaletica grafica.
Le zone che in fase di analisi sono state individuate come critiche perché prive di riferimenti, sono state dotate di appositi punti di riferimento cromatici.
Le immagini ambientali che ne derivano, costituite unicamente dal colore, direzionano il percorso e dovrebbero risultare facilmente memorizzabili dall’utente nelle diverse fasi del wayfinding.
Così, se il percorso principale impone di girare a destra, tale orientamento viene assecondato in modo naturale attraverso il colore, mentre la lettura segnaletica potrà risultare secondaria.
In particolare, è stato osservato come le due porte di ingresso, dai colori marcati, abbiano attratto fortemente l’attenzione, perché costituiscono un punto di discontinuità e, di conseguenza, di attrattività: molti visitatori in cerca della loro meta vi si dirigevano in modo spontaneo, anche se quello non era affatto il posto da loro cercato!
Osservazioni “sul campo”: i risultati della sperimentazione
Sono state condotte diverse osservazioni sul posto in diversi momenti della giornata su pazienti, operatori e visitatori.
I comportamenti osservati sono stati ricondotti a quattro modalità:
decisione: persone che procedevano con sicurezza verso la propria meta;
incertezza: persone che non procedevano con sicurezza;
ricerca: persone che scrutavano l’ambiente in cerca di segni indicatori;
ripensamento: persone che ripercorrevano lo spazio.
In particolare, è stato osservato come le due porte di ingresso, dai colori marcati, abbiano attratto fortemente l’attenzione, perché costituiscono un punto di discontinuità e, di conseguenza, di attrattività: molti visitatori in cerca della loro meta vi si dirigevano in modo spontaneo, anche se quello non era affatto il posto da loro cercato!
Nel secondo caso è stato osservato come l’angolo semicircolare della parete, ritinteggiato con larghe bande verticali, abbia prodotto gli effetti di maggiore interesse: le grandi bande verticali agiscono infatti come invito positivo e non possono non essere notate. I visitatori erano stimolati ad agire e quindi a valutare con più attenzione la scelta fra le possibili direzioni.
Il punto di maggiore debolezza è risultato invece quello del passaggio intermedio: qui le colorazioni hanno minor forza orientante e, come rilevato attraverso brevi interviste, per i visitatori assumevano per lo più un valore di decoro.
Conclusioni
- In un progetto di wayfinding, il colore – e in genere tutti i trattamenti che stimolano la dimensione percettiva prima ancora di quella cognitiva – svolge il ruolo di segnale, soprattutto nelle fasi dell’esplorazione e della memorizzazione;
- Tale effetto lo si ottiene solo se le connotazioni cromatiche degli elementi architettonici sono esplicitamente mirate all’orientamento;
- La colorazione delle pareti a scopo di wayfinding va progettata come componente di un sistema di segnaletica più ampio, articolato e integrato agli ambienti; che a loro volta agiscono pure loro come supporti e veicoli di comunicazione segnaletica.