Teresa: lo spazio abitativo dopo un lutto
“Abitare in fondo è abitarsi. Trovare una corrispondenza tra mura esterne e pareti interiori, liberarsi dal passato, riparare vecchie ferite. Scegliere finalmente qualcosa di esterno che ci protegga e che corrisponda a un bisogno intimo, ormai irrinunciabile.” [D.Caprioglio, “Nel cuore delle case” – Ed. Il Punto d’incontro (2013), p.149]
Teresa, nome di fantasia dietro al quale si cela una professionista dell’abitare che ha seguìto la diretta Instagram di presentazione del corso di Donatella Caprioglio, ci ha scritto una mail inaspettata dopo poco più di una settimana dall’evento online al quale aveva partecipato.
Ci ha colpito l’intimità del suo scritto che racconta di un momento duro e delicatissimo per tutti: la separazione definitiva dai propri genitori, con quel che implica la gestione della casa che fu la loro, magari ancora abitata dal o dai figli superstiti.
Abbiamo chiesto a Teresa il permesso di trascrivere gran parte della sua mail, ci ha chiesto solo di omettere il suo vero nome:
“Seguo da tempo i vostri corsi. Sono sincera, prima ancora che per i miei clienti, li seguo per me. Come il più classico dei calzolai che va in giro con le scarpe rotte, io sviluppo (con successo, tra l’altro) progetti per gli altri ma non sapevo dove mettere le mani nella mia casa. Ho pensato anche di rivolgermi a una collega, magari lontana e sconosciuta, ma l’orgoglio ha prevalso: e che, non so più fare il mio lavoro??
Mio padre ci ha lasciati una decina d’anni fa, il Covid si è portato via mia madre. Non voglio raccontare il modo in cui ciò è avvenuto, aggiungerebbe solo dolore al dolore. Fatto sta che la casa in cui abito è diventata doppiamente vuota in pochissimi istanti. Istanti che sono durati praticamente 2 anni.
Il mio appartamento (che era quello dei miei genitori) è di 120 mq terrazzi compresi, ha un reparto notte ben separato da quello giorno grazie ad un corridoio che contiene anche l’ingresso di casa. Tutti i mobili, i pavimenti, i rivestimenti e la pittura delle pareti rimandano a scelte fatte nei primi anni Ottanta; da allora, poco è cambiato se non per qualche aggiunta tecnologica tipica degli anni ’90 e ’00. Potete ben immaginare quanto sia stata curata ogni cosa: certi mobili e alcuni angoli di casa sembravano intonsi, nuovi di zecca!
Il colore prevalente nella casa dei miei era il marrone, possibilmente carico e a tratti pure scuro: porte, mobili, carte da parati, persino alcune decorazioni erano ispirate a quel colore o a sue tonalità. Appena mamma è uscita dalla sua casa per l’ultima volta, mi è sembrato un autunno senza fine. Eppure quegli ambienti mi hanno sempre evocato l’amore, la protezione, il gioco, il rifugio dal mondo esterno per eccellenza: la sensazione di calore era piacevolissima.
Di colpo, tutto mi è apparso freddo, vuoto, opprimente.
Per la mia sopravvivenza, ho deciso di chiudere a chiave tutte le stanze che reputavo per me inutili, limitandomi a vivere in cucina, nella mia stanza da letto, nel bagno secondario e nel corridoio. Eccezionalmente mi andavo a vedere qualche serie tv o qualche film nel salotto col grande schermo. Ma accadeva di rado, perché normalmente me ne stavo in cucina a vedere la televisione.
Ho sempre saputo che questa situazione era nociva per me, ma non riuscivo ad uscirne. Così ho usato il lavoro per star bene: più vedevo la soddisfazione dei miei clienti e meglio stavo. Viceversa, nei rari casi in cui non funzionava qualcosa, finivo depressa e frustrata per qualche periodo.
Istintivamente ho iniziato a frequentare i vostri corsi di psicologia ambientale, fino a che mi sono imbattuta in questo webinar. Ho cominciato ad interessarmi dell’autrice e ho acquistato alcuni dei suoi libri, mi sono iscritta al corso di fine maggio.
Ho realizzato che il solo modo per tornare a vivere completamente e di onorare la memoria dei miei genitori era quello di appropriarmi della casa che è passata a me. Ma da dove cominciare?
Ho iniziato riaprendo le porte delle stanze che avevo chiuso, ho spalancato tutte le finestre ogni volta che il tempo lo permetteva, mi sono fatta -lo ammetto- diversi pianti.
Poi ho cominciato ad immaginare come sarebbe stata la mia casa se avessi cambiato tutti i pavimenti, tutte le porte e se avessi ripitturato le pareti. Via i marmittoni, via le piastrelle, via le ceramiche, via le vernici gialline o arancioni, via le lampadine a gas dalla luce bianco-fredda sui lampadari o sulla plafoniere. Largo a pannelli nobilitati con effetto tecnico di pietra scura riflettente la luce, pareti bianche, angoliere nere, porte laccate con marcato effetto corteccia di legno e vetri colorati con diversi motivi per la zona giorno e quella notte.
Quali mobili sostituire e quali salvare? Come risistemarli? Quali effetti personali tenere e quali dar via? Mi sono rivolta ad una professional organizer sconosciuta, mi sono informata in autonomia senza mai rivelare la mia professione, l’ho cercata e trovata distante da dove risiedo.
E’ stata un’esperienza dura ma esaltante: la professionista è stata bravissima ad ascoltarmi (cioè sopportarmi) nei miei lunghi sfoghi e nelle mie indecisioni su questo o quell’oggetto. Alla fine ha saputo prendere decisioni e si è imposta; non finirò mai di ringraziarla per la sua dolce fermezza: liberati quasi tutti gli spazi, ho potuto occupare quelli rimasti con tutto ciò che è mio e che mi piace. Ma ci son voluti quasi tre mesi, qualcuno mi ha detto che è stato pure poco! In realtà l’intero processo è durato, come dicevo, più di 2 anni.
Per ringraziare voi, le vostre e i vostri docenti, ma soprattutto la D.ssa Caprioglio, voglio riportare quel che ha scritto a pagina 255 del suo libro “Mura sensibili” (che bel titolo!): «…forse, il giusto atteggiamento da avere per la perdita dei genitori è citare Seneca, nelle Lettere a Lucilium (1494): “Li avevo come se li dovessi perdere un giorno. Li ho perduti, come se li avessi sempre”».
Grazie di avermi letta fin qui, scusate per la lunghezza di questa mail”.
Siamo noi a doverti ringraziare, Teresa. Di cuore.